I rivestimenti compatti di stagno sono apprezzati per il loro valore protettivo di fronte agli agenti atmosferici, alle acque, alle soluzioni e a varie sostanze, fra cui sono da notarsi le alimentari.
Il perché lo stagno può adoperarsi per quest’ultimo scopo risiede nel fatto che in tale uso esso assume comportamento anodico rispetto al ferro. Con l’atmosfera e con molte soluzioni, invece, lo stagno si comporta come piu’ nobile. Di qui la necessità che i rivestimenti non siano porosi, onde scongiurare il pericolo che lo stagno acceleri, anziché ritardi, la corrosione.
La stagnatura si fa talvolta preferire per il colore bianco dello stagno, che permane anche a contatto con l’umidità e di vari gas (ciò che non accade, p. es. per l’argento, che annerisce).
Lo stagno fonde a 230°, cioè a temperatura molto bassa . Questa proprietà ha favorito l’uso esteso della stagnatura termica, della stagnatura elettrolitica da sali fusi e del trattamento termico ulteriore dopo l’elettrodeposizione dello stagno da soluzioni acquose.
Distinguiamo tre sistemi di stagnatura : la stagnatura termica, che attualmente detiene ancora il primato, specie per grosse lamiere e semilavorati, la stagnatura galvanica, che va prendendo sempre piu’ piede, soprattutto perché consente un miglior controllo dello spessore dei rivestimenti dei vari oggetti, lamiere comprese, e, infine la stagnatura chimica, che ha una certa importanza per scopi speciali.
Si possono realizzare anche rivestimenti composti di due strati ottenuti successivamente per via termica e per via elettrolitica.
I rivestimenti galvanici di stagno si dimostrano molto duttili e di solito con porosità variabile. Rispetto a quelli ottenuti termicamente sono per lo piu’ opachi, a meno che non si faccia uso nei bagni di speciali agenti splendogeni. Si possono ottenere depositi di stagno da bagni alcalini e da bagni acidi.
Mentre nei bagni alcalini lo stagno si trova come composto stannico (stagno tetravalente), in quelli acidi si trova allo stato di composto stannoso ( stagno bivalente). Ne deriva che nei bagni alcalini l’equivalente elettrochimico è la metà di quello posseduto dai bagni acidi: quindi, per lavori rapidi, è piu’ conveniente usare quest’ultimi. Inoltre i bagni acidi hanno un redimento di corrente maggiore: infatti, di fronte ad un rendimento di corrente del 90-96% dei bagni acidi, quelli alcalini dimostrano soltanto un rendimento di corrente dei 60-80% e ciò soprattutto a causa del contemporaneo forte sviluppo di idrogeno durante l’elettrolisi.
Lo stagno è abbastanza resistente contro la corrosione e l’ossidazione; i rivestimenti offrono particolare protezione nei confronti delle sollecitazioni moderate, quali quelle dell’interno di contenitori.
Gli spessori medi su materiali ferrosi per usi comuni sono: 50 um per protezione contro la corrosione e l’attacco di contenitori di generi alimentari: 20 um per protezione contro debole corrosione atmosferica; 5 um per saldabilità; 8um come sottostrato per verniciatura; 5-10 um per protezione (riserva) dalla nitrurazione.
Ai fini della resistenza alla corrosione, oltre allo spessore , assume importanza l’indice di porosità, ossia il rapporto tra il numero dei pori visibili ad occhio nudo a normale distanza di lettura rilevati sulla superficie significativa sottoposta alla prova e l’area di detta superficie , espressa in dmq.
I valori massimi sono: 10 per spessori di 10 um , 2 per spessori di 25 um e 0.2 per spessori di 50 um.
Lo stagno elettrolitico, per la sua innocuità nei confronti delle sostanze alimentari, per le caratteristiche sue proprie e dei suoi composti inorganici, nonché per la sua saldabilità, trova molti impieghi. Lo si applica in spessori minimi a causa del suo prezzo.
I vari bagni galvanici mirano ad elettrodeporlo nella forma piu’ compatta esente da pori e possibilmente lucida senza necessità di ulteriori trattamenti termici o meccanici.
Le vasche da utilizzarsi per i bagni alcalini possono essere di ferro, come pure le relative installazioni per riscaldamento, agitazione, ecc.; si possono usare anche vasche di ferro aventi all’interno lastre di vetro retinato, oppure rivestite di vipla dura.
Per i bagni acidi si devono usare vasche di gres, oppure di ferro rivestite all’interno di gomma indurita o di vipla.
Si deve assolutamente evitare che i bagni diventino impuri per metalli vari, altrimenti i depositi risultano molto difettosi.
Per l’eventuale riscaldamento dei bagni acidi è opportuno adoperare installazioni in piombo, in quarzo, in acciaio inossidabile, in titanio, in ceramica o a fasci tubieri di teflon a seconda dell’elettrolita.
Gli anodi sono di stagno fuso, esente da impurezze, soprattutto da piombo.
I morsetti possono essere di nichel, oppure, per i bagni alcalini, di rame. Essi non devono toccare la soluzione della vasca.
I monconi anodici possono essere utilizzati mediante fusione.
La superficie anodica varia intorno a valori metà di quella catodica per i bagni alcalini, mentre per quelli acidi è di solito doppia.
Per la stagnatura interna di oggetti cavi (es. pentole) si introducono in essi quanto basta di bagno per riempirli e una bacchetta centrale di stagno, che si collega col polo positivo del raddrizzatore; unendo il recipiente col polo negativo, si effettua l’elettrodeposizione.
Nei bagni acidi si usano anodi di stagno in lastre a sezione rettangolare insacchettati in terilene o in polipropilene. Nei bagni alcalini è consigliabile l’uso di anodi a sezione ovale; l’uso dei sacchetti non è indicato, soprattutto perché il galvanotecnico deve osservare il colore del film che si origina durante il processo e da esso dedurre le condizioni dell’elettrodeposizione.